Le Cinque Felicità sono: la prima una lunga vita, la seconda la ricchezza, la terza un corpo sano e una mente sana, la quarta l’amore e la virtù, la quinta una morte degna della vita vissuta.
Classico dei Documenti 書經– 1000 a.C.
Il Classico dei Documenti – uno dei più importanti testi in nostro possesso che possano testimoniare l’antica cultura cinese – porta la nostra attenzione sulle questioni ritenute importanti nella vita di ciascuno di noi. Colpisce immediatamente come la posizione di apertura e di chiusura siano occupate da due eventi considerati importanti ma apparentemente antitetici: la vita e la morte. Nella cultura tradizionale – in oriente come in occidente – la morte veniva considerata parte della vita. Questo fatto culturale è principalmente dovuto alla costante presenza della morte in ogni casa, in ogni momento, sotto diverse forme. Carestie, guerre, malattie sono solo alcuni dei volti con cui la morte era solita bussare alla porta di ogni casa sino a tempi relativamente recenti. Oggi non è più così. Nell’entusiasmo che dimostriamo ogni giorno nella nostra fede per la scienza, ci piace immaginarci immortali. Tutti conosciamo la morte, ma preferiamo non pensarci, non parlarne. Le persone spesso muoiono lontano da casa e nascono lontano da casa. Questi due eventi sono quasi completamente scomparsi dal vissuto quotidiano dell’uomo moderno.
La morte ieri e oggi
La vita un tempo era scandita dal sorgere e morire del sole, in un piccolo villaggio tutti – prima o poi – dovevano interfacciarsi con gli arrivi e le partenze, con la realtà della nascita e della morte. Oggi tendiamo a non considerare più queste tematiche. Anche chi studia medicina oggi, è possibile certo che abbia visto alcuni malati, ma è altrettanto probabile che concluda il proprio percorso di studio senza aver mai visto alcun bambino nascere e nessun essere umano morire. Oggi più che mai cerchiamo di non pensare al difficile tema della morte. Accettarla vorrebbe dire ammettere di essere mortali, cosa che proprio non ci piace. La scienza oggi ci fa sentire sicuri, abbiamo perso molto del nostro abituale e necessario contatto con la natura. Possiamo prolungare di molti anni la nostra vita e ridurre le malattie. Possiamo sentirci giovani nello spirito, nel corpo e nelle foto che ci scattiamo molto più di quanto gli anni sui nostri documenti di identità ci suggeriscono di fare.
Morire oggi
Le più recenti indagini riguardo alle preferenze individuali riguardo al luogo in cui una persona preferirebbe morire mostrano una netta prevalenza verso la propria casa (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/PMC5701500). Tuttavia le presenti condizioni socio-familiari della società industrializzata non sembrano voler assecondare questa preferenza. Le famiglie sono sempre più ristrette e frammentate, i ritmi di lavoro serrati, le donne lavorano come gli uomini e i figli non vivono più a contatto con parenti e genitori. Questi sono solo alcuni dei fattori che rendono almeno improbabile l’ipotesi di una cura dell’anziano nei suoi ultimi momenti tra le mura domestiche, a meno che nel futuro le condizioni economiche non spingano nuovamente verso un obbligato riavvicinamento.
Curare la morte
La morte è un argomento verso il quale un medico dovrebbe quantomeno essere familiare. Tuttavia non esiste un solo esame del corso di Medicina e Chirurgia che tratti questo argomento. Ne risulta che il medico è completamente impreparato a gestire il tema della morte. La formazione medica è ricca di nozioni anatomiche e fisio-patologiche che permettono di identificare un problema e trattarlo. Questo risulta indiscutibilmente utile quando si tratta di identificare una malattia e applicare una cura. Ma quando si tratta della vecchiaia o della morte? Si tratta di problemi reali per i quali non esiste una cura. La vita è – di fatto – una malattia mortale. Il medico è portato per natura ed esperienza a trovare una soluzione ai problemi del malato attraverso la terapia. Questo crea una situazione particolarmente svantaggiosa nei confronti del malato che si trova sballottato da un ospedale all’altro, sottoposto a ripetuti interventi chirurgici dalla quantomeno dubbia utilità se non poter allungare di poco la durata della vita ma a che prezzo? In questo marasma difficilmente questo malato avrà il tempo di parlare, ascoltare, salutare, dire che “andrà tutto bene”, trovare le persone a cui mormorare “mi dispiace” o il coraggio di dire ancora “ti amo”.
La morte nella filosofia cinese
Lo Shen è il corpo, il corpo è lo Shen. Quando il corpo si disintegra, lo Shen lo segue. Avere uno Shen è la conseguenza di avere un corpo. Lo Shen nei confronti del corpo è come il filo rispetto ad una lama. Non esiste lama senza filo così come non esiste filo senza la lama. Non è possibile che lo Shen esista al di fuori del corpo.
Fan Zhen 450-515 d.C.
Quando si cerca un’interpretazione della morte secondo la Medicina Tradizionale Cinese bisognerebbe tenere presente che non esiste una visione univoca. Quello che oggi chiamiamo “tradizione cinese” è un’insieme di idee ch si sono evolute nei secoli e – almeno dall’epoca Tang – può contare sul pensiero delle Tre Dottrine: taoismo, buddismo e confucianesimo. La tematica della morte viene discussa e interpretata diversamente in ognuna di esse: sentitevi liberi di scegliere quella che preferite.
La fine della vita nel Buddismo
Il Budda ha insegnato che non esiste alcun “ego” permanente. In ogni momento nasciamo, ci consumiamo e muoriamo. Siamo in continua trasformazione, così nel corpo così nei pensieri. Tuttavia in alcune correnti – diciamo populiste – di buddismo c’è un’idea di ruota della vita, il samsara, una permanenza in questo vortice di reincarnazione dal quale ci si può liberare e ascendere diventando dei buddha. Esistono 6 reami: umano, animale, fantasmi famelici, inferno, divinità gelose e divinità. Esistono 3 veleni che ci tengono improgionati nel samsara: odio, avarizia, ignoranza. La direzione della reincarnazione è determinata dal Karma, una sorta di conto corrente dove si sommano le buone e le cattive azioni, fatte e subite, accumulate attraverso le varie vite.
La fine della vita nel Confucianesimo
Confucio era un pratico, considerava totalmente inutili le discussioni riguardo a ciò che succederà dopo la morte. Tali considerazioni sfuggono alla comprensione umana. L’immortalità poteva essere conseguita, intesa come un esempio da lasciare ai posteri, una forma di immortalità garantita dai libri di storia. Una seconda via per l’immortalità era attraverso il ricordo che si poteva imprimere nelle generazioni future. Per questo era importante la costruzione della famiglia e della sua armonia interna.
La fine della vita nel Taoismo
Il taoismo nasce come scuola naturalista 自然派, un modo di approcciarsi alla vita dove la natura è considerata il sommo bene. La massima aspirazione umana è quindi emularla, vivere in armonia con essa e capire i suoi ritmi. All’interno di questa corrente di pensiero, la morte veniva considerata necessaria alla vita così come il giorno genera la notte e viceversa. Affrontare la morte a testa alta era un problema anche allora, il consiglio di Zhuangzi per superare la paura è abbandonare l’attaccamento. Se non siamo più legati all’amore verso noi stessi ma riconosciamo i nostri confini personali come qualcosa di più ampio, diventiamo in grado di amare le creature sulla terra, gli altri esseri viventi come noi stessi. Spostando il punto di vista, la morte non è più la fine di tutto, è solo la fine del nostro corpo, la vita continua.
Con il passare dei secoli e la trasformazione del taoismo come filosofia al taoismo come religione, iniziò a maturare un crescente desiderio di immortalità che raggiunse il suo apice nel XVI secolo, epoca Ming. L’immortalità veniva conseguita attraverso l’elisir di immortalità che poteva essere ricavato all’esterno 外丹 o all’interno 內丹. La prima pratica prevedeva l’estrazione di elisir alchemici di lunga vita, spesso tossici, che hanno ampiamente contribuito alla tragica e prematura morte di numerosi alchimisti ma anche alla fortuita scoperta della polvere da sparo. La seconda si concentrava invece sul movimento delle energie interne, con lo scopo di invertire il naturale processo biologico di trasformazione che dall’essenza 精 muove verso lo spirito 神. L’inversione avrebbe permesso di riaccumulare essenza, ringiovanire e diventare quindi immortali.
Per approfondimenti
- Essere mortale. Atul Gawande
- 道德經 Tao Te-ching. Il libro del Tao
- 莊子 Zhuang-zi. Romanzo taoista
- 西遊記 Il viaggio in occidente. Romanzo classico cinese – Luni edizioni.
- 論語 Dialoghi. Confucio
2 risposte
Bello e interessante questo articolo! Scritto in modo chiaro e accessibile a tutti. Bisognerebbe ritornare a parlare di morte, a comprendere il cerchio della vita in tutta la sua evoluzione, ma forse la paura della morte ci frena dal discuterne. Forse, se la conoscessimo più da vicino, se ci accostassimo al concetto di fine ne avremmo meno paura
Come ha ragione, grazie!